L’obesità infantile ha una genesi multifattoriale, essendo il risultato di diverse cause più o meno evidenti che interagiscono tra loro. In questa sede farò un breve cenno a quelli che sono gli aspetti più prettamente psicologici, in particolare mi soffermerò sull’importanza giocata dalla famiglia nella genesi e nel mantenimento dell’obesità stessa.
La famiglia ha infatti un rilevanza importantissima nello sviluppo psico-fisico del bambino obeso.

La famiglia dell’obeso è spesso caratterizzata da un padre debole sottomesso alla figura materna, e che viene additato dalla madre come esempio da non imitare, mentre questa mostra aggressività ed anche prepotenza, svolge un ruolo determinante nell’educazione dei figli, e non riuscendo ad elargire sicurezza ed affetto, compensa con una iperalimentazione. La madre vive nel timore dell’allontanamento del figlio e quindi gli impedisce qualsiasi attività (fisica, sociale, ecc.) che possa renderlo più autonomo, ed è quindi convinta che i suoi desideri rispecchino quelli del figlio, ma comunque a volte alterna momenti di dedizione a momenti di rifiuto del figlio (Selvini Palazzoli et al., 1998).
Questi due aspetti contraddittori tendono a confondere il figlio che non riesce a delineare una sua identità, e pertanto il bambino, crescendo in un ambiente così insicuro e ricco di messaggi incoerenti e contraddittori, trova difficoltà a discernere ciò che è essenziale per lui, e quindi è costretto a sottovalutare o coprire le proprie esigenze e di conseguenza la sua individualità (Minuchin, 1976).
Ciò è dovuto alla presenza di legami fragili che scoraggiano lo sviluppo dell’individuo e la sua autonomia. Tali famiglie hanno difficoltà ad affrontare problemi e cambiamenti, mentre l’eccessivo stare insieme e la stretta unione portano ad una mancanza di privacy e quindi ad una scarsa percezione di sé e degli altri: in questo clima, soprattutto crisi familiari o personali innescano la bulimia.
Inoltre, in questi contesti familiari si osserva un clima di pseudoarmonia che è l’espressione di una eccessiva protezione e di una incapacità a risolvere i conflitti, ed in cui tutto si manifesta con una mancanza di aggressività, con una estrema passività, scarsa stima di sé, forte paura di essere respinti dagli altri, associata ad un grande bisogno di essere aiutati ed essere riconosciuti dagli altri (Brouwers, Wiggum, 1993).
E’ evidente che nelle crisi di voracità c’è una tendenza depressiva di fondo, che spiega anche i sensi di colpa che questi soggetti hanno nei confronti del loro eccessivo mangiare, la consapevolezza di aver distrutto l’oggetto, simbolicamente rappresentato dal cibo, ma anche la voglia di continuare a mangiare, pur non avendo più la capacità di ingerire cibo, che esprime sia l’insaziabilità di questi soggetti, sia l’inutilità del meccanismo difensivo della voracità; l’equivalenza oggetto desiderato-cibo, porta inevitabilmente ad una delusione continua che innesca perversamente la dinamica dell’insaziabilità, ovvero l’impossibilità di essere soddisfatti.

Le modalità relazionali della famiglia dell’obeso evolutivo mostrano una coppia genitoriale con una elevata conflittualità basata su criteri differenti di vivere e giudicare gli avvenimenti, dai tratti caratteriali e stili di vita difficilmente compatibili: spesso la moglie accusa il marito di essere avido, avaro, mentre lei è prodiga e disponibile, oppure uno dei due mostra particolari sensibilità mentre l’altro è un calcolatore freddo e razionale (Magagna et al. 1994). Queste diversità, anziché essere discusse ed elaborate, vengono esasperate fino al limite di una rottura, che però non avviene mai, si assiste cioè ad un conflitto permanente che si svolge all’interno di posizioni inconciliabili, quindi senza alcuna possibilità di soluzione, ossia di separazione, anzi essi tendono a mantenere la conflittualità ed allargarla sempre più coinvolgendo i figli, che quando raggiungono l’adolescenza e quindi si verrebbero a creare le condizioni per una possibile o simbolica separazione, fanno aumentare i conflitti; la paura di una possibile separazione innesca meccanismi di falsa coesione o addirittura atteggiamenti coercitivi tendenti a limitare le già scarse possibilità di autonomia del figlio (Shaver, Hazan, 1995).
Da tutto questo il tentativo di falsa risoluzione dei problemi attraverso il cibo, come se tutto ciò che è emotivo possa essere ridotto e risolto in termini orali; sicuramente entrano in gioco fattori ed elementi con particolari valenze simboliche, ma anche perché è la modalità relazionale in cui la madre, con la sua specifica funzione alimentare, può assumere un ruolo determinante. Quindi il cibo viene vissuto come una sorta di panacea per tutti i problemi e per tutti i conflitti, ma proprio perché questa investitura è deludente, aumenta la tendenza a somministrarlo, determinando il circolo vizioso in cui il bambino in questa situazione sviluppa ansia, rabbia e frustrazione che i genitori cercano di sedare con il cibo.
Inevitabilmente il bambino non riesce più a distinguere i suoi reali bisogni, i suoi stimoli endogeni, perché questi vengono negati e sopraffatti dai genitori, che impongono i loro bisogni al figlio che non riesce così a sviluppare una situazione di autonomia e di identità, che diventerà obeso non riuscendo a distinguere due stimoli fondamentalmente diversi, ossia la fame e la voracità, in cui predomina quest’ultima proprio perché collegata a stimoli psichici come l’ansia e la rabbia.
Nasce così la prima modalità di risposta, ossia quella di “ingoiare” tutto, perché di fronte ad una coppia in perenne conflitto che non si separa mai e che vive drammaticamente le separazioni, il soggetto è costretto ad una identificazione con l’intera coppia; egli deve introiettare due genitori perché lui non può deluderli, non può separarli, identificandosi con l’uno o con l’altro, ed inoltre in questo caso assistiamo al fatto che una conflittualità-ostilità, anziché favorire una separazione, tende invece a rinsaldare il legame, non solo tra i due partner della coppia, ma tra questa e il figlio.
Ed è questa mancanza di autonomia e di libertà, questa mancanza di identità, una caratteristica peculiare dell’obeso, insieme alla tendenza a non poter esprimere minimamente una possibilità di aggressività, di opposizione. Non sanno dire di no, non sanno rifiutare le situazioni: “ingoiano”, nel timore che ogni rifiuto sia altamente ostile o pericoloso, forse distruttivo, come hanno appreso dalla dinamica del rapporto genitoriale, gestita all’insegna del disprezzo, della non sopportazione, ma anche della impossibilità a separarsi (Fairburn, 1997; Selvini Palazzoli et al., 1998).
Un’altra possibilità, invece, è quella di mentire, ossia manifestare la tendenza a crearsi una situazione fantastica, diversa, che si cerca di contrapporre a quella reale frustrante; il soggetto cerca quindi di crearsi un falso Sé nel quale nascondere un Io debole, dipendente, insicuro; l’evoluzione di questa situazione può essere verso una obesità più o meno stabile, con tentativi di sottoporsi ad una dieta, che al di là della riuscita non è sufficiente a risolvere la conflittualità psicologica del soggetto. L’obeso, inoltre, quando decide di dimagrire, connota il dimagrimento di forti fantasticherie magiche, come il diventare bello, l’essere ammirato, il riuscire nella vita, ma quando si avvicina a traguardi accettabili di peso, torna rapidamente indietro, per timore di doversi confrontare con la realtà e dover dimostrare capacità che sa di non avere, e così l’obesità continua ad essere mantenuta, come falso senso di sicurezza e di forza (Sassaroli, 1999).
Spesso il cibo viene offerto al piccolo come surrogato dell’affetto. E questo fa si che il bambino una volta adulto, tutte le volte che si sentirà triste, si consolerà mangiando. Inoltre, sembra che i soggetti predisposti maggiormente all’obesità siano stati bambini molto dipendenti, con un legame con la mamma di tipo simbiotico. Questo vincolo, infatti, non permette al bambino di trovare lo spazio sufficiente per diventare psicologicamente maturo.

Lopez et al. (2000) hanno esaminato le modalità comunicative in famiglie messicane con figli obesi e non. Dalle conversazioni, registrate ed analizzate tramite varie metodologie (Minuchin et al., 1957; Watzlawick et al.,1978; Haley, 1990) emerge che, nelle famiglie con bambini obesi, i padri utilizzavano spesso messaggi mistificatori e meta-messaggi, mentre le madri utilizzavano spesso dei messaggi di rifiuto, ed i bambini tendevano ad evitare il conflitto. Nelle famiglie di bambini non obesi, genitori e figli utilizzavano maggiori espressioni che riguardavano l’attenzione all’aspetto fisico.

In ultimo non dobbiamo dimenticare dell’importanza che riveste l’alimentazione per l’instaurarsi di una salda relazione tra madre e bambino. Quando il bambino ha fame viene attivato il comportamento di attaccamento, come motivazione primaria, che ha lo scopo di ottenere la fiduciosa vicinanza della madre e il contatto con lei per poter ristabilire un equilibrio affettivo (Ammaniti, 2001). Nel caso in cui non si instaurasse questo scambio naturale tra bambino e cargiver, questo influirebbe nell’instaurarsi di un buon attaccamento e anche sul “sano” sviluppo del comportamento alimentare.